Cantico azzurro
Calpestio d’azzurro
su questo cielo sgranato,
d’un ceruleo così genziana
che anche i cori
delle potestà celesti
ne rimangono storditi.
Forse neanche il pennello
del più dissennato van Gogh
saprebbe immortalarlo,
e farne gaudio incessante
per l’umana specie,
dispersa nel sangue della noia.
Forse neanche il genio
di Beethoven, arso d’afflizione,
saprebbe partorire sinfonie
su pentagrammi accartocciati,
e donar all’umano patire
l’impeto di così tal avvenenza.
Azzurro a scrosci,
seduzione d’azzurrità,
oh bellezza sovraumana!
Tanto ama l’anima mia,
che più non mi sgomenta
neanche il giorno della morte.
Carlo Molinari
Olio su tela
Occhi di pantera,
mio enigma insondabile.
Ciliegio del Giappone,
campo giocoso di girasoli.
Profumo di pelle fruttata,
notte che ti vesti di cobalto.
Leggiadria soave di lavanda,
fiume copioso di montagna.
Altare consacrato d’incensi,
giorno immemore d’amarezze.
Donna che vieni dal passato
e conquisti l’agonia del presente.
Angelo caduto lieve in terra,
con le ali che ancor si sgranano.
Foglia ridente di betulla estiva
che mi fai da ombra nei tormenti.
Lago d’acqua dolce e ninfee,
quadro d’un tramonto di Renoir.
Notturno d’incanto di Chopin,
nel mio patir come nomade di vita.
Oasi salvifica nel deserto del Sahel,
dove il più infelice trova conforto.
Olio su tela, amata e musica mia,
di sapor colorato, di sorriso di luna.
Spargere parole al vento per te
è la mia vocazione naturale,
che riposo non trova, né rifugio,
se il giorno muore senz’averti baciata.
Se il mio piccolo mondo d’ansie,
disseminato di buio e spine,
non s’imbatte nella luminosità
d’ogni miracolo che tu sai donarmi.
Carlo Molinari
Ti respiravo come l’aria
Cielo di cipria,
mi desto
con un dolore
che la pelle brucia.
Eran così leggiadri
i giorni delle camelie,
quando all’alba
ti recavo il saluto,
e ti porgevo la mano
perché tu non cadessi.
Ora pesa il commiato
e di te una terra di colori.
Anche la rondine
del volo vaneggiante
ha perso l’audacia
e gemendo si cuce le ali.
Non ha mai fine il patire
quando hai l’anima
denutrita come una piuma.
Carlo Molinari
Diretta con il poeta Adolfo Nino Abate
Ciao a tutti,
ieri sera ho intervistato un poeta foggiano, Adolfo Nicola Abate, nell’ambito delle dirette Instagram di “Poeti2000” del quale sono il fondatore e amministratore.
Per chi volesse guardare la diretta qui sotto posto il link (abbiamo parlato di “Nino” come poeta, della Poesia intesa come Bellezza, emozione, ricerca della musicalità e del senso del verso e “Nino” ha letto anche alcune sue poesie ed altre liriche di altri poeti famosi, fra cui Pasolini).
Una diretta che ha spaziato in moltissimi ambiti e che ha avuto una grandissima risonanza nel social.
Se volete vederla (dura un’ora e un quarto circa), il link è questo.
https://www.instagram.com/tv/CdbgzemJG2H/?utm_source=ig_web_copy_link
E dirsi ciao
Signore, Ti rendo grazie
perché anche oggi sono vivo.
Mi sono svegliato ancora.
Mi saluta il ramo in fiore,
mi salutano i passeri, gli usignoli,
il volo delle rondini zigane
e i pettirossi sul ballatoio.
Mi saluta l’azzurro del cielo,
il sole che si spinge a nascere,
anche lui mi saluta.
Mi salutano le finestre dischiuse
delle monache in preghiera.
Mi saluta la vita che s’affaccia
al nuovo soffio d’un giorno
come tutti gli altri, sempre uguali,
ma sono una grazia divina.
Mi saluta sempre il mio amore
che sparge un tutt’unico d’amore.
Mi saluta la pozzanghera
e il merlo nero che beve da essa.
Mi saluta il ghiaino
che aspetta d’esser lavorato
dagli operai che verranno.
Mi salutano l’abete, il siliquastro,
il faggio, l’ippocastano,
la betulla e tutte le fronde
del piccolo bosco che m’allieta
lo stupore della vita.
Mi salutano l’odor dell’asfalto
e le auto in sosta
che si muovono lentamente.
Mi saluta la falce di luna
che va a declinare sul poggio,
e mi dà l’appuntamento
ad un nuovo bacio d’amore
anche questa notte che verrà.
Mi salutano le margherite,
le pervinche, i bucaneve,
il tarassaco e tutte le violette,
le campanule e i fiori di nessuno.
Mi saluta il mio respiro
che anche oggi mi tiene in vita.
Mi saluta il mio corpo
che s’è destato, si sgranchisce
e affronta gioioso
un nuovo miracolo di luce.
Mi salutano il Tuo cielo infinito,
gli angeli, le nubi
e i defunti d’ogni epoca.
Mi saluta il vento, così caro,
e mi rasenta tutto il viso fresco.
Mi saluta l’aria che respiro,
il raggio del sole novizio
che m’entra nella pelle umida.
Mi saluta tutto il Creato,
e con me Ti rende lode e grazie.
Mi saluta il mondo che vive
e anche tutto quello inanimato.
Tutti, tutti mi salutano,
mi salutano veramente tutti.
Oh mio Dio,
Ti devo dire una cosa.
Com’è possibile
che tutti mi conoscano?
Carlo Molinari
Mia madre
Mia madre
non ha mai danzato
alla Fenice o alla Scala.
Non ha mai avuto
un parterre di pubblico
pagante e gaudente,
in drappeggi da sera
e diademi da sciorinare.
Ha avuto solo pane secco
e una lacrima dura
per curvarsi a sollevare
i figli dalle sciagure.
Mia madre
non ha mai danzato
alla Fenice o alla Scala.
Ma ha un giardino fiorito
di calle, azalee e novelle rose,
che s’aprono all’avvenenza
nel mese mitigato
dei fioretti e di Maria.
Mia madre
non è mai stata
una ballerina da riflettori,
acclamazioni e prime pagine.
Ha cercato rivoli d’amore,
troppo spesso senza risposte.
E ora ha solo
un tralcio di spine
in una camera di Rosari.
Per ricordarsi, silente,
che i figli sono come le rose.
Tra i dolori e il gelo
vanno concepiti, invocati,
e poi lasciati alla loro fioritura.
Carlo Molinari
Il Siliquastro
Sei la confessione
dell’adultero alla gogna,
le trombe in tripudio
degli arcangeli sovrumani.
L’Amore
esiste ancora!
Eri un cencio di rami ossuti,
lo scheletro pietoso
pronto alla fossa di detriti.
Eri il più miserando
degli alberi del giardino.
L’occhio di te si vergognava,
le lingue erano pronte
a calunniarti e a bruciarti.
Nessuno di te
sapeva il destino.
Il mondo ti chiamava
l’Albero di Giuda traditore.
Ora sei un’esultanza di foglie,
la viva magnificenza
ch’è risorta dalle ceneri.
Nel tempo
delle carni in bikini
e dei tatuaggi fra i marosi
sarai un rimbombo di fiori fucsia,
d’un colore così potente
che anche la morte ti temerà.
Eri il più disgraziato
fra gli alberi del verde,
ora sei l’imperatore bonario
d’un regno di pace e di giustizia.
Tutti a te si convertono,
tutti lodano i tuoi miracoli.
Albero di Giuda, tu mirabile,
non hai tradito per trenta denari.
Ti sei fatto Cristo in croce,
ma la pietra è stata divelta.
E chi non credeva in te,
si copra la faccia
dalla vergogna.
Il bacio d’un Cielo eterno
è sceso sulle miserie umane.
Luce, luce, che sia luce!
L’Amore
esiste ancora!
Carlo Molinari
Il tempo che verrà
Il tempo che verrà
Vorrei scriverti
la poesia che non t’ho
mai scritto, la più intensa,
la più spudorata, la più vera.
Vorrei rendere la tua giornata
come un prato di bucaneve,
innocenti, ricolmi di grazia,
bagnati dal sole lieve di maggio.
Ma io non so nulla d’amore,
m’illudo di saper amare
e invece sono un vagabondo
su strade infestate
da ubriachi e malandrini.
Ma dimmi,
si può imparare
ad amare dopo una vita
di cadute, fosse comuni, e baci
consegnati alla condanna
e alla dimenticanza dei venti?
Si può forse ancora crescere
quando si è già sul castigo
dei capelli bianchi,
e del tempo beffardo
che ti sputa in faccia
e ti prepara al sepolcreto?
Vorrei scrivere per te
ciò che non ho mai scritto,
adorare il mio Dio
e venerare la tua anima.
Pentirmi su rocce pungenti
d’una vita d’ipocrisie,
e dimenticarmi
d’ogni istante
passato nella dolenza
e nell’oblio dell’allegrezza.
Vorrei che tu,
al crepuscolo di brace,
ti ricordassi
che anch’io esisto,
sciagurato uomo
in cerca d’assoluzione
in un confessionale decrepito,
senza preti né stole di viole.
Vorrei che il tuo mondo
fosse anche il mio,
quando s’eleva l’Ave Maria
a supplicar pietà
per le miserie passate,
presenti e future.
Vorrei pettinare con cura
le tue fronde d’usignoli,
di mattina quando ti desti,
prepararti un caffè
mentre ti fai sfolgorante
nel tuo laghetto
di ninfee e pesci rossi.
Quanto darei, quanto,
per essere il tuo pensiero,
la tua consolazione,
il tuo letto su cui riposare
la fatica del vivere
e la pena della solitudine.
E, credimi, so bene
di non esser in ritardo
sull’orologio delle possibilità.
So bene che l’aurora
un giorno, fregerà d’azzurro
le tue stanze disabitate
e le mie mura ammuffite.
E in quella benedizione
ci convertiremo
in una fronda d’amore,
o forse ci siederemo soltanto
a farci onesta compagnia.
Niente di più, amabile,
non ti chiedo niente di più.
Vorrei scriverti
la poesia che non t’ho
mai scritto, la più intensa,
la più spudorata, la più vera.
Sono ancora in tempo?
Mi perdoni
se non l’ho mai fatto?
Carlo Molinari
Scrivere
Cosa bisogna fare
per scrivere una poesia?
Devi tagliarti il cuore,
spargere tutto il sangue
che ti resta dentro.
Far gridare le tue vene
e il dolore disumano
che ti grondano nell’anima.
Spaccar la testa
e soffocare l’infinito
che non ti dà mai risposte.
Devi ridurre lo spirito
ad uno straccio calpestato.
Partorire tutte le ombre
che ti spezzano lo stomaco.
E poi ricordarti sempre
che ci sono anche i giorni
in cui hai fatto l’amore.
Carlo Molinari
Aspettare
C’è aria
di primavera.
Il nostro mare
ci sta aspettando.
Il vento amico
ci sta aspettando.
I campi nuovi
di tulipani nuovi
ci stanno aspettando.
Il bacio di fuoco
chiuso nella mia bocca
ci sta aspettando.
L’acqua di sale
e il saluto dei gabbiani
ci stanno aspettando.
La notte svestita
e i cuscini per terra
ci stanno aspettando.
C’è aria
di primavera.
Il volo
delle rondini
ci sta aspettando.
Il fiore colto
e regalato
ci sta aspettando.
L’abbraccio
e il calore
persi nel tempo
ci stanno aspettando.
Le mie poesie
ti stanno aspettando.
Ancor di più.
Anch’io
ti sto aspettando.
Ho una rosa in mano,
e te la voglio
incorniciare sul cuore.
Carlo Molinari