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La pazzia di vivere

Quella poltrona e tu,

una camera semioscura e tu,

sorellina mia, mia sorellina,

con la tua bambina in grembo.

Nel silenzio più accecante,

a vegliare, a pazientare

sul mio tormento spietato.

Poca luce, un abat-jour muta

a mirare il mio corpo crocefisso

che si sgrovigliava sul letto

come serpente agonizzante.

Silente tu, con me,

con una bimba nel ventre,

ad aspettare nel dolore

che trionfasse la speranza.

Passò un cubito di tempo,

la tua creatura venne alla luce.

Sul suo visino il giardino dell’eden,

sulla sua pelle una crema d’oleandro.

La sapienza della primavera

ebbe compassione anche di me.

Mi germogliò sulle labbra il sorriso,

me ne sortii dalla mia babilonia.

Mi crebbero il raggio di sole e la rosa

sulla punta delle ciglia, mi crebbe

il pargolo della rondine nelle pupille

e da allora compresi che un Dio esiste.

Insieme,

non abbiamo

mai smesso di credere

che il ramo di ciliegio

fiorisca nei giorni d’aprile.

Alla fine del duro dolore,

all’inizio della pazzia di vivere.

Carlo Molinari

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